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Il Kosovo del dopo-guerra e del dopo-elezioni

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Guerra ed elezioni hanno mutato in più occasioni il volto del Kosovo, e lo fanno ancora. Uno sguardo sull’impasse istituzionale per formare il nuovo governo e su nuovi scenari, come a Mitrovica

È un periodo di cambiamenti in Kosovo, e molte cose si stanno muovendo, apparentemente senza scossoni e comunque senza sorprese, com’era stato anche in occasione dell’ultimo, recente, passaggio elettorale, ma non per questo in modo poco significativo o irrilevante, soprattutto nel senso della “direzione di marcia”.

Il processo politico-elettorale è, forse, quello lungo il quale questa “direzione di marcia” è meglio rintracciabile. In Kosovo, è vero e lo si è riferito anche in altro articolo, il PDK (Partito Democratico del Kosovo), con il suo leader e premier uscente, Hashim Thaci, ha vinto le elezioni, e il LDK (Lega Democratica del Kosovo), il partito che fu del padre della patria (e della nonviolenza) kosovara, Ibrahim Rugova, si è dovuto accontentare della seconda piazza. Adesso, il Kosovo è alle porte di un “vicolo cieco costituzionale”: il 31% dei voti conseguiti, infatti, non garantisce al PDK e ai più stretti alleati una maggioranza nel “Parlamento” kosovaro e, d’altra parte, pur di impedirgli la riconferma, tutti gli altri partiti (tra di loro diversissimi e reciprocamente diffidenti, va da sé), hanno firmato un’intesa con cui si presenteranno insieme alle consultazioni per formare il nuovo governo.

Ora, non è detto che LDK, AAK e Vetevendosije riusciranno nell’intento, ma sembra acclarato che potrebbero formare una maggioranza; in ogni caso, a norma di costituzione, non spetta a loro il primo tentativo di trovare questa maggioranza, e non è neanche detto che una maggioranza del genere regga poi alla prova dei fatti (oltre che del voto di fiducia e delle altre scadenze istituzionali).

Ho incontrato, durante la recente missione del progetto P.U.L.S.A.R. per Corpi Civili di Pace in Kosovo, gli amici ed i partner kosovari, soprattutto a Mitrovica (per la quale rimando alla fine dell’articolo) e il discorso è inevitabilmente finito, tra le altre questioni, sulla vicenda post-elettorale. A Mitrovica non si sono viste le scene che si sono viste, invece, a Pristina, dove si sono susseguiti i caroselli lungo le strade e le auto bardate a festa con le bandiere di tutti i partiti, tutte insieme, tranne il PDK. Ma anche Mitrovica sembra “coinvolta” in questo vento “nuovo”, alla vigilia di un governo “nuovo”, sul quale nessuno sembra essere disposto a scommettere. Nella prima repubblica italiana, si sarebbe detto un governo “balneare” o, al massimo, un governo “di scopo”: ristabilire “legge e ordine”. L’uomo giusto che la coalizione anti-PDK avrebbe individuato per questo “scopo” risponde niente di meno al nome di Ramush Haradinaj: comandante della guerriglia terroristica dell’UCK nel Dukagjini (Metohija), famigerato per la sua condotta militare all’epoca della guerra serbo-albanese del 1998-1999, già premier nel 2005 e poi incriminato all’Aja per crimini di guerra e contro l’umanità. Diciamolo, un criminale di guerra in predicato di governo. Legge e ordine?

Senza alcuna simpatia, beninteso, per Thaci, verrebbe da dire: peccato. La situazione in Serbia si era (sorprendentemente) stabilizzata con il 48% alle ultime elezioni per l’SNS, il nuovo governo di Vucic, la conferma della strada europea del Paese e degli accordi di normalizzazione del 19 Aprile 2013. Adesso i giochi potrebbero riaprirsi, anche perché, come detto, tra gli alleati kosovari della grande-strana coalizione, compare Vetevendosije, le cui posizioni demagogiche sono note e che sembra aver posto come condizione per l’appoggio alla maggioranza, pur senza entrare direttamente al governo, il cambio di passo nei rapporti con la Serbia e la fine di ogni dialogo con Belgrado.

Si vedrà. Intanto, però, le cose proseguono, la popolazione kosovara continua a dibattersi nei problemi storici della sua quotidianità (la libertà di movimento che non c’è, la disoccupazione dilagante, la corruzione profonda) e i Serbi del Kosovo continuano a essere come in un vicolo cieco, tra una Belgrado sempre più, a dispetto del diritto e della giustizia internazionale, lontana e una diffusa enclavizzazione che ne frammenta l’esistenza, ne spezza il legame e ne minaccia la sopravvivenza. Un segno positivo sembra venire, lo si accennava sopra, proprio da Mitrovica, simbolo del conflitto e luogo della divisione: la notte di martedì 17 Giugno è stata finalmente, con una procedura concordata e senza scontri di sorta, rimossa la barricata sul pronte principale lungo il fiume Ibar, confine simbolico tra la Mitrovica albanese (a Sud) e la Mitrovica serba (a Nord), eretto all’indomani degli “scontri dei valichi” del Luglio 2011 per difendere la comunità serbo-kosovara da azioni unilaterali da parte di Pristina.

Un buon segno, anche di speranza. Speriamo non isolato.

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